giovedì 24 dicembre 2009

I segni : una ricerca metafisica

All’inizio, non ho pensato al aspetto simbolico dei segni, mi apparivano sopratutto sul angolo della funzione segnaletica. Mi sono ricordato la segnaletica que si scontra ancora nelle montagne, voglio parlare degli ammassi di pietre che indicano al caminatore la buona via. Questi segni, prima l’era del GPS, eranno assolutamente indispensabili perché perdere il suo camino significava spesso l’impossibilità di tornare a casa e talvolta la morte.

Gli uomini hanno paura di essere perduti, il mondo é complesso, é la ragione perché i segni corrispondono a un bisogno proprio dell’unmanità. Il segno é l’espressione della ricerca metafisica, l'imperativo di trovare il suo camino attraverso un universo immenso e complesso. I cabalisti tentavano di decifrare la Bibbia per trovare la sua vera significazione attraverso l’interpretazione dei segni biblici. Gli astronomi fanno la stessa cosa con le stelle: vogliono trovare l’origine e l’organizzazione del mondo secondo un punto di visto scientifico. Ma questa frenesia di ricerca é motivata per una ragione più sorda : la ricerca metafisica.

I segni sono allora dei punti di riferimento indispensabili per il sviluppo del individuo. Bruno Bettelheim, psicologo dell'infanzia, esplora nel suo libro Il mondo incantato, l’importanza dei segni per i bambini. Le fiabe, secondo lui, danno ai piccoli dei modi per capire il loro mondo attraverso de i segni semplici e conformi al loro funzionamento conoscitivo.

I segni sono dunque dei punti del nostro percorso interiore e che danno indicazioni sulla nostra consapevolezza di noi e del nostro mondo. Qui vediamo l’importanza del mito per una società perché é l’ espressione della sua scoperta del mondo.

Marie Massiani

La frontiera dell' età

E sempre la stessa cosa ! Quando vado a casa di mia nonna, ritrovo un rituale immutabile. Alle 18:00, mia nonna si fissa davanti alla televizione perché non vuole mancare il suo programmo preferito. Nel questo programmo c’é nessun elemento di modernità : la decorazione é kitch, i participanti sono piutosto vecchi. I giovani preferiscono cambiare il canale. Quindi mi viene da chiedermi se mia nonna e io viviamo nel stesso mondo o in due universi che mai si incontrano.

Certamente l’età influenza sui centri di interesse e le occupazioni, dobbiamo adattarsi allo stadio della vità. Spesso apparisce un preconcetto secondo quale esistono due sfere culturale completamente diverse. C’é allora una frattura culturale che trascina stereotipi e puo’ allora sembrare difficile di fare ancora qualcosa insieme.

La frontiera tra le generazione potrebbe semplicemente vedersi attraverso l’indifferenza ma non é una frontiera pacifica perché le due partite vogliono imporre la loro visione della società e naturalmente difendere i loro interessi. Nel 1968, i giovani hanno vinto una parte importante del conservatismo dell’epoca. Ma oggi l’evoluzione demografica dell’Europa fa che gli anziani sono più numerosi e dunque hanno un peso superiore, cioè i giovani sono spossessati di una parte del loro ruolo di motore della società, Sono la categoria la più toccata per la disoccupazione e quella che é la meno rappresentata tra i dirigenti.

Queste evoluzioni del corpo sociale sono accompagnate di un riasseto della definizione all’appartenenza a un età. C’é una miscela dei codici tra le generazioni. Il fenomeno é sottile, per esempio ora estimare l’età della gente é divento difficile con la chirurgica estetica, peraltro alcune ragazze vogliono sembrare più vecchia.

L’età é dunque una frontiera sociale e culturale benché sia complessa e talvolta difficile a circoscrivere. La società puo’ manquare di coesione a causa di questa frontiera invisibile. Eppure é uno spreco perché la forza dei giovanni e l’esperienza degli anziani sono complementare. Les due sono legate e dovrebbero costituire una forma di continutà sociale.

Marie Massiani

martedì 8 dicembre 2009

L'Impero dei Segni è la chiave della nostra umanità

L’impero dei segni è un soggetto estremamente interessante perché se ci pensiamo bene tutte le relazione umane subiscono la sua sovranità. Infatti anche se molte persone pensano che le relazioni tra gli esseri umani sono o possono essere spontanee, questo è impossibile perché per poter stabilire una relazione sociale tra due persone esse devono parlare e per parlare bisogna subordinare la nostra volontà e le nostre pulsioni spontanee ai simboli della lingua. Si sa che l’uomo riflette con delle immagini ma per poter comunicare queste immagine ad altrui deve piegarle ai codici, ai simboli della lingua. Ma questa conversione che prima avveniva con facilità grazie al gran numero di simboli linguistici, quindi di parole, disponibili ora diventa problematica proprio perché, come l’abbiamo visto nell’articolo sulla lingua rap, la gente conosce troppe poche parole per poter esprimere con precisione le proprie immagini mentali. Quindi come le parole mancano ma delle immagini mentali sfuocate continuano ad emergere nella coscienza di ognuno, ogni concetto è solo accennato con le parole. La gente pensa di averlo capito perché mentalmente ne costruisce un’immagine imprecisa e quindi passa ad altro. Quindi la gente come non ha più abbastanza segni a disposizione per esprimere il proprio rapporto al mondo con precisione allora usa segni generali che gli permettono solo di riflettere con dei cliché, le argomentazioni e le idee non sono mai approfondite, solo accennate in modo generale. Questo sviluppo molto metafisico ha pero un effetto reale e spaventoso sul mondo empirico : se si ha a disposizione solo segni generali e che le relazioni umane sono subordinate all’impero dei segni, allora anche le relazioni tra essere umani diventano generali, superficiali. E per illustrare questa mia tesi basta guardarsi attorno all’università : la gente passa dallo stato minerale allo stato animale. In periodo normale i rapporti tra li individui sono vuoti : si moltiplicano le attività, le uscite tra amici e il consumo, ma questi atti servono solo a mascherare il vuoto assoluto dovuto a una generalità dei segni che li rende vuoti. Per esempio quando si va a fare una serata da qualcuno cosa si fa di essenziale, di unicamente umano ? NIENTE. Si va, si sta li a parlare vagamente del nulla, si sta insieme ma non si costruisce niente, siamo come un cerchio di pietre in un giardino che stanno solo li a occupare spazio. Quando ci sono delle feste invece, si sveglia il lato animale : come i segni orali sono diventati troppo generali, non si può più definire con precisione la propria identità si può solo essere conformi a delle immagini sociali generali vuote dentro ma definite da codici formali precisi. E come tutti aderiscono a queste immagini sociali ben definite formalmente si ha paura di provare ad essere noi stessi, si ha paura che un segno negativo possa allontanarci dal gruppo. Per essere liberi dai segni e dalle convenzioni ci vuole quindi un alibi: l ‘alcool. Ci si sballa per avere l’impressione di vivere invece di pensare il come vivere, ma cosi invece si essere esseri umani si e solo rocce o animali. E cosi alle feste si vede la gente che ad inizio serata sta in gruppetti chiusi, si comporta in modo gelido, come se fosse priva di emozioni troppo attenta a non intaccare la propria immagine sociale e dopo due o tre ore, si vedono le stesse persone imbevute di alcool e ululanti …
Ricreare segni precisi, con un fondo, un’essenza forte è quindi un’urgenza perché un impero dei segni vuoti e formali renderebbe irreversibilmente l’uomo non umano, le nostre relazioni diventerebbero comparabili a quelle delle formiche.

ROTELLI PAOLO

martedì 1 dicembre 2009

La strumentazione dei segni

I segni sono intorno a noi, anodini spesso e questo è il propio della publicita. Di fatti i publicitari cercano a farci integrare segni, slogan, simboli, nella nostra propia vita di ogni giorni sensa pero che siano identificati da noi come strategie publicitarie. La publicita riposa sulla nostra interpretazione e nè basta poco, agisce certe volte su ideali, desideri o sogni nascosti percio la publicita non è sempre esplicita puo essere nascosta o simbolica. Cerciamo di essere piu chiari.

Ho deciso di studiare la strategia publicitaria della famosa firma di sigarette LUCKY STRIKE, inventate nel 1871 in America sono diventate quais un fenomeno di moda. Nel 1917 appare per la prima volta sui pacchetti lo slogan ''It's Toasted'' per spieagare il modo di fabricazione vero ma anche per dare un latto energizante al fatto di fumare queste sigarette. Poi nel dopo guerra altri slogan famosi e pieni di senso per il consumatore come ''LUCKIES GREEN sono state alla guerra'' o ''LUCKY STRIKE separa gli uomini dai ragazzi....ma non dalle donne''.
Quello che la firma ha cercato è di aggiungere un valore artificiale a le loro sigarette. L'importante è che il consumatore fuma queste sigarette pensando alla figura che lui rimanda agli altri, in chiaro se fumi le nostre sigarette sei un uomo, un vero che piace alle ragazze.
Pochi anni fa la firma ha lanciato una strategia basata sul design. Di fatti l'apparenza dell'pachetto importa molto. Pachetti col simbolo Lucky fluorescente perche sia visto di tutto nei bar o in discoteca quando qualcuno lo tira fuori della tasca, pachetti che si approno come scatoline di caramele...Ma anche apparizione del prodotto nei posti visti da tutti, per esempio Uma Turman sul cartellone del famoso PULP FICTION sta fumando una Lucky col pacchetto davanti a lei.
Questo punto ci manda a riflettere sulla politica dello stato riguardo a questo tipo di publicita sopratutto quando riguarda prodotti pericolosi per i citadini. Dobbiamo considerare che non siamo capaci di resistere a questa publicita? Oppure che è il dovere dello stato? Dal mio punto è chiaro che lo stato deve avvertire il consummatore soppratutto riguardo ai piu giovani per la sigarette o per i piu fragili per quando si tratta di alcol o di gioco...Da un latto è chiaro che non si puo fare la publicita per qualcosa che ammazza pero non si deve cadere nel estremismo.
In Francia dal 1991 e la legge EVIN che impedisce di fare publicita per le sigarette e quasi totalmente per l'alcol. Cosi non si puo piu mostrare una sigaretta nei luoghi publichi come quella che è stata ritirate dalla bocca di Chirac sulla copertura delle sue memorie.
Oggi c'è un'altro caso in Francia non si puo fare la publicita per i siti di scommesse in ligna, cosi la squadra di calcio di Lione si vede impedita di giocare col suo sponsor in Francia. Quello che appare illogico nel quadro del unione europeo è che le norme non siano omogeneisate, per esempio si è svolto pochi mesi fa la partita di calcio LIONE-LIVERPOOL, la partita si è giocata senza sponsor sulle magliette delle due squadre, la squadra inglese essendo lei sponsorizata da Carlsberg marca di birra. Pero al andata le squadre hanno potuto giocare con le magliette originale come quasi dapertutto in Europa ma non in Fancia.

I segni sono dunque diversi e vari, spesso interpretati, utilizzati, a fine di riconoscenza come con le grande firme, ma la loro influenza si sente nel fatto che la legge riconosce lei stessa per alcune firme il fatto di fare publicita sarebbe pericoloso. I segni sono potentissimi mi sono basato solo sulla publicita ma il teme è grande...tutti i rapporti sono basati su segni che siano professionali, amicali o sentimentali..

Ivano ISAIA

lunedì 30 novembre 2009

I Segni della Felicità

I Melanesiani erano affascinati dagli aerei che lasciavano strisce nel cielo sopra le loro teste. Si adirarono contro i Bianchi che con la loro magia attiravano tutti gli aerei. I Melanesiani volevano anche loro attirare gli aerei sulle loro terre, combattendo la magia dei Bianchi che se gli rubavano tutti. Quindi per attirare a loro queste nave celeste cariche di merci fantastiche, avevano costruito anche loro aerei, ma fatti di rami e di fuscelli, poi posti su pianure per essere ben visibili dagli altri aerei in volo e convincergli di atterrare lì e non sui i terreni dei bianchi. Gli aerei di rame dei Melanesiani non erano fatti per volare, strano paradosso per un aereo. Non avevano la funzione operativa, oppure d’efficienza. No, non avevano proprio funzionalità. La loro funzione era soltanto significante, cioè il fatto di assumere il sopporto di segni. Erano la Forma vuota, priva di consistenza. Quale rapporto ci sarebbe con noi oggi, gente materiale e pragamatica. Si deve proprio guardare all’apparizione del mito della felicità in Europa e le sue conseguenze attraverso la società di consumo.

«Le Bonheur est une idée neuve en Europe» dichiarava il Giacobino Saint Just in seguito alla Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo e del Cittadino. L’Utilitarismo di Bentham rinforzò quell’idea della felicità maggiore per il maggior numero e introdusse un nuovo concetto, quello di ugualianza. Tutti dovevano aver diritto alla felicità. Tutti dovevano godersi quel nettare rubato agli dei recentemente morti. Jean Baudrillard, sociologo di ottima (oppure pessima secondo altri) reputazione, ci spiega che quell’esigenza di distribuire la Felicità in tal modo che tutti se la godino in modo massivo e uguale, condusse a fare emergere il concetto di misura della felicità. Poi la felicità tradizionale, soggetiva e spirituale (bramata dai saggi) divenne una felicità materiale, misurabile, misurabile dagli oggetti, una Felicità quindi oggettiva, la cui norma non essendo più l’intelletto umano (norma interna) ma la società (norma esterna). A parte di quel periodo, il consumo divenne il processo di affermazione della felicità tramite l’accumulare, anzi l’ammucchiare, i prodotti che «segnavano» il compimento della Felicità. La gente iniziò a comperare tutti i segni della felicità domestica e sociale promossa dall’american way of life. E però la gente non era felice, non più di prima infatti. Come i Melanesiani, i consumatori divennero convinti che gli oggetti offerti dai supermerchati fossero carichi di magia, l’oggetto di consumo, sacralizzato dalla pubblicità, diventando una specie di mana da procurarsi ad ogni costo per concorrere a quel fantastico potlatch, il più bello happening della società di consumo, lo spreco, per colmare quel vuoto atroce posto da questi oggetti carichi di segni ma vuoti di simbolismo, privi di quella trascendenza che fà l’unicità, l’anima dell’oggetto. Così Baudrillard definisce la società di consumo «il processo di produzione industriale dei segni». Segni multifunzionali, di suggerimento, anzi di suggestione di acquisto, attraverso la promessa dedotta da quella combinazione di segni. Perchè non si compera l’oggetto, si compera il sonnio che lo avvolge. Così circondandosi dai segni esterni e materiali della felicità, la gente aspetta cupamente che la Felicità vera, adescata, si ponga sulla strada della vita, come un aereo...


LUCCHINI JEAN-DOMINIQUE


giovedì 26 novembre 2009

Il concetto di frontiera è largo, difficile a illustrare è ancora di piu a capire.
Dietro le frontiere ci sono migliaie di vite che si svolgono tra le frontiere, sto parlando di clandestini, immigrati, personne che non hanno piu identita costretti a vivere clandestinamente.
Ho scelto di fare un brevo racconto della vita di una di questi dimenticati.

Lui era un uomo tra tanti come lui, immigrato magrebino che si guadagnava la vita con piccoli lavori. Quest'estate coglieva ciliegie con me, pero non mi ero mai immaginato prima di conoscerlo meglio che abbia una vita cosi particolare.
Nattivo di Oran in Algeria faceva l'instruttore di tiro alla kalashnikov nell'esercito. Parlava poco del suo passato ma col tempo mi confessa che era stato in carcere. Due anni come i chili di droga che aveva tentato di fare passare alla frontiera tra la Tunisia e l'Algeria. Dopo questi due anni una volta fuori non trovava piu il suo posto nel suo paese. Direzione Rotterdam imbargo su un cargo ''Rotterdam 1987'' come gli piaceva dire. Dopo tre anni trascorsi in Ollanda decidé di tornare nel suo paese. Pero il ritorno non è stato felice, la guerra inizio poco tempo dopo. Scapando alla violenza e forse al suo passato si ritrova velocemente a Pariggi. Nella capitale fa nuove conoscenze, non tutte frequentabile ma essenciale per lui. Di fatti dopo gli attentati di Saint-Michel nel 1995 le condizioni per ottenere la citadinanza o anche un permesso di lavoro sono diventate rigorosissime per gli algerini. Per anni ha dunque vissuto con documenti falsi.
Nei suoi ultimi anni in Francia viveva tra Beziers e il mio paese dove suo sorella aveva fatto un matrimogno bianco. Pero il lavoro non lo trovava sempre, la popolazione lo sospetava e per complicara la sua situazione aveva comminciato a bevere. La polizia essendo alertata non viveva piu tranquillo, era l'ora per lui di tornare in Algeria. L'ha fatto due anni, chissa che paese avra trovato dopo averlo lasciato 15 anni fa...
Quando ho scelto di raccontare questa storia personnale non ho cercato che queste personna clandestina sia giudicata. Ha la vita che ha avuto con problemi e avventure che fanno della vita quello che è. Pero vuolevo solo mostrare che i clandestini non scelgono tutto quello che accade loro, devono accomodarsi è anche se un paese (come la Francia a Calais) cerca a cacciarli queste personne che alcuni considerano como parasiti esisteranno sempre sono gente come noi sul fondo, in fine manca loro solo un documento, un' accetazione....

ISAIA Ivano

giovedì 19 novembre 2009

Frontiera culturale.

Quello che arricchisce quando si va all'estero è di vedere la nostra differenza di mentalità a traverso i fatti più quotidiani della gente e i fatti chi ci sembrano evidenti. Per esempio quando sono andata a Québec è intrigante vedere la gente aspettare il bus in linea retta come si fa la fila di attesa in un commercio. La mia amica d'infanzia che a traslocato a Montréal cinque anni fa mi diceva: "anzi se piova deve mettersi in fila e ti trova talvolta a 10 metri del riparo". Noi francese aspettiamo piutosto in un branco. Non capiamo che sia tanto importante aspettare in ordine di arrivo mentre il bus non è ancora qui.

Ma ho capito che è proprio nei fatti del genereche si esprime realmente la frontiera culturale. Quando si tratta della vità a prima vista banale, si giudica piu facilmente la differenza perchè la nostra attitudine ci sembra un inclinazione naturale.

Il problema è che la frontiera culturale esiste sopratutto perchè siamo predisposti dalla nostra cultura e dal nostro passato . La frontiera culturale rimane se non proviamo a immergersi nella società estera con un attitudine di osservazione neutrale. La frontiera piu difficile a superare è finalmente quella che delimita la nostra appertura piu o meno grande di mente.

Auspici e Predizioni

Ho scelto di parlare dei segni nel senso di auspici e di predizioni.

Dall'antichità, gli uomini hanno cercato di trasformare fenomeni naturali in intervento divino che mostrava la decisione che occorreva prendere o la via che occorreva seguire. Ad esempio, i greci ed i Romani credevano che la direzione presa da uccelli, liberati da un sacerdote, indicata un presagio felice per la destra ed un miserabile per la sinistra.
Il segno è qui legato alla superstizione.

Si può prendere l'esempio dell'eroina, del romanzo « Un long Dimanche de fiançailles » di Sébastien Japrisot, Mathilde, che ha perso il suo fidanzato alla guerra. È persuasa che non è morto e cerca lungo il libro di trovarlo. Quando perde speranza, si lancia degli ultimatum come: « Se arrivo al giro prima della macchina, se ho il tempo di contare fino a 7 e che il treno non è entrato in una galleria, Manech ritornerà vivo ». Si regge a segni nel corso del racconto.

I segni superstiziosi sono sempre esistiti e hanno evoluto nel corso della storia.
Durante l'antichità, era l’allentamento di uccelli che permetteva di rispondere ad una domanda come l'esame delle loro viscere. In occasione di un sacrificio, era il modo in cui il sangue si smaltiva… Una temporale con lampi era il segno della rabbia dei dei…

Oggi, anche se non si crede più ai dei olimpichi, padroni della vita degli uomini, si arriva sempre a trovare segni. Ad esempio, il fatto che un gatto si gratta dietro l'orecchio è foriero di temporale, come alcune persone affermano che pioverà quando hanno male alle ossa. Se si va in una cacca di cane del piede sinistro allora guadagnara denaro. Se un gatto nero attraversa dinanzi a sé, è presagio di sfortuna. Di stesso quando si hanno gli orecchi che fischiano, si dice che qualcuno pensa a noi.

Altre ricerche di presagi sono non temporali come la tradizione turca che consiste nel leggere il futuro nel fondo di caffè.

J. Lormier

L'impero dei media e loro segni sulla nostra società

La parola "impero" viene del latino "imperium" che significa il potere, la dominazione. E voglio evocare i segni che dominano la nostra società attuale ma anche le nostre vite quotidiane sopratutto attraverso i media e la pubblicità.

Diffati, il nostro comportamento è dettato da quello che vediamo ogni giorno nelle riviste, alla TV, nella strada... Questi segni che che ci sono imposti sono in realtà dei concetti e danno la visione di un mondo uniforme. E un po come une propaganda.

Ho preso l'esempio dell'ideale estetico, di bellezza trasmetto dai media. Sapete, quello della donna bionda, magra, grande, "perfetta" insomma. E molto ragazze e signore provano a raggiungere quest'ideale femminile virtuale, irreale.
E questo è esattamente il comportamento che le grande industrie di cosmetico e di pubblicità aspettano di noi. Perché vedete, più un ideale è difficile da raggiungere e mantenere, più il mercato è lucrativo! Dunque presentare un tale immagine della donna "perfetta" assicura la crescità e la redditività dell'industria dei prodotti di bellezza e ringiovaniti.

Alcuni dati concreti:
- La rivista americana Teen riporta che il 35% delle ragazze tra 6 e 12 anni hanno già state a dieta perchè credevano essere troppo grosse mentre avevano un peso totalmente normale. E sappiamo che questo puo essere pericoloso sopratutto durante questa età, che è una perioda di crescità per il giovane.
- Uno studio dell'istituto della ricerca sulla condizione fisica e lo stile di vita ha mostrato che smagrirsi è percepito da parecchie ragazze come il mezzo di migliorare la loro stima di se. E le metodi adoperati sono tra altri: non prendere la collazione, essere a dieta, fumare... Tutti hanno un impatto nefasto sulla salute.

Certo, non è vero per tutta la gente. Alcune persone rifiusano questo conformismo ma comunque sia, questi segni s'imporano e prendono sempra più posto nella nostra società.

Justine de Barsony

domenica 15 novembre 2009

Nel nostro mondo ci sono segni dappertutto, accanto alla strada, nei magazini, alla tivù… Ma ci sono segni anche sulle persone. Questi segni sono le marche nei vestimenti sopratutto, ma ci sono anché i segni più o meno chiari, che possiamo decifrare e chi sono dei segni di appartenenza ad una comunità.

Il problema maggiore al quale pensiamo oggi parlando di questi segni di appartenenza sono i segni religiosi, le croce ed i veli. Ma non sono i soli segni di appartenenza che vediamo sulle persone. L’identità di una persona si fa per mezzo di molto segni e il sentimento di appartenere ad una comunità riempia il vuoto della esistenza degli individui nella nostra società dovè numerose persone non parlano più agli altri. E per questa raggione che la gente vuole mostrare segni della sua identità, presa ad altri individui o gruppi, ma che sembra a loro essere una parte del sentimento di essere unico.

Un esempio di questi segni sono i tatuaggi ed i piercing, perché quando le vediamo pensiamo che la persona è o giovana o ribelle. Nella stessa idea, le persone chi sono molte truccate sembrano superficiali e non veramente interessanti mentre possono essere completamente al contrario di questa immagine.

Ma un segno può mentire. Tutte le persone con un tatuaggio non sono ribelli. I segni si trasformano con il tempo, e la vista che hanno del loro significato può essere falsa. I segni che decifriamo inconsciamente sono pericolosi perché risultano dei codici della nostra società e fanno pensare delle cose che non sono sempre vere.

Questi segni sono all’inizio dei preconcetti, chi sono all’inizio della frontiera sociale.

Agathe Plauchut

mercoledì 11 novembre 2009

Un mondo governato dai segni

Penso che oggi il mondo sià governato dai segni e la gente fa molto attenzione a questi segni.
Nella nostra società occidentale i segni sono soprattutto dei segni d'appartenenza, di ricchezza o di povertà. Possiamo prendere l'esempio delle marche che sono sui vestiti. Queste marche distinguano i più ricchi dai più poveri.
C'é anche la società orientale che é governata dai segni. Non sono gli stessi dai nostri, ma ci sono molti segni in questa società soprattutta nella società asiatica. E' Roland Barthes che ha scritto un libro sul Giappone, "L'empire des signes" ("L'impero dei segni"), in cui mostra che tutta la società giapponese é governata dai segni.
Pero' preferisco pensare ai segni come un mezzo di comunicazione piuttosto che come un mezzo di distinzione.
In fatti possiamo parlare di questi popoli che usano le mani per parlare e dunque che usano molti segni. Gli Italiani sono i più forti per inventare dei segni e per parlare con le mani.
Ho notato che, in tutti paesi, quando una persona indica la strada da seguire usa per forse le mani. Nessuno sta con le mani in tasca mentre spiega: "Giri a destra dopo la rotonda...".
Tutti usano dei segni per comunicare.
Infine, ci sono sopratutto i segni che formano un vero linguaggio a parte: "il linguaggio dei segni". E' un esempio che mostra che la gente puo' facilmente comunicare senza parole ma solo con i segni.
Pauline Guibbaud.

giovedì 5 novembre 2009

Una giornata sotto l'imperio dei segni

Tu credi, come Lucien Lévy-Bruhl, che la società odierna possa lasciare al passato gli attegiamenti pre-logici tra cui si trova l’impero dei segni, la simbolica ? Posso dimostrarti il tuo errore pur descrivendo una giornata anonima di uno studente qualunque come te, piena di lezioni sull’impero dei segni.

Primo, ti svegli alle sette con il suono, piuttosto forte, del “jingle” della tua radio preferita, o per esempio dei Magnificent Seven dei Clash, appropriati per questa situazione dal tuo telefonino. Abituato a questi segni, a questi “stimuli”, tu reaggisci come d’istinto, alzandoti e cominciando a mangiare in uno stato secondo : fai bollire dell’acqua, ed il fischio ti dà esattamente dopo mesi d’esperienza il calore per il mate.
Dopo che tu abbi preso una modesta doccia, a volte fredda, vai con i tuoi affari, segnalati sulla tavola con una posizione dretta ed anormale, come in qualunque giorno della settimana. Aspetti all’incrocio che il segnalo verde ti lasci attraversare la strada, benché tu pensi tuttavia a fare un atto sovversivo, cioè affrontare il segno rosso quando credi essere in ritardo.



Per il tuo lavoro in corso, ti senti forzato di dimostrare che A e B non fanno C contro uno studente che pensa l’esatto contrario, e occorre usare delle tue mani per illustrare simbolicamente l’argomento d’autorità, che è spesso una lettura superficiale o un rumore su Aristotele o di Wittgenstein, nomi-segnali per qualunque filosofo autochiamato. Perché dipendi dai tuoi bisogni fisici, vai a prendere il tuo pranzo senza fermarti, ma i colori del snack, azzurro, giallo e bianco, ti richiamano che sei in una regione mediterranea, dove non si conoscono i “fish and ships”. Ne scegli l’occasione per leggere un giornale incontrato là, però il semplice sguardo della faccia del capo dell’esecutivo e di una fotografia di Peshawar, con dei titoli senza sorpresa, ti dà tutto quello che volevi sapere dopo diciannove anni di giornalismo di televisione.

Nella biblioteca, il tuo telefonino suona senza lasciarti tempo di reaggire in silenzio, e devi segnalare la tua buona volontà spegnendolo frente agli sguardi cattivi del personale, che significa così sia il legitimo fastidio sia l’odio istintivo delle tecnologie odierne che rendono la gioventù sempre più stupida. Lavorando sul tema dell’impero dei segni, leggi Le viol des foules par la propagande politique di Serguei Tchakhotine, che ti mostra tra caratteri latini di stampa quanto sei assoggettatto alle tue pulsioni pavloviane nei rapporti con gli altri e i loro “stimuli”. Riprendendo il tuo coraggio, come in modo di marcare la tua soddisfazione, butti via le tue carte da brutta nella pattumiera in un movimento di trionfo, prima di vedere tra il vetraglio che è già la notte e che il campione di pallacanestro ha bisogno di tornare a casa sua.

Dopo che ti sia accomodato nella salla calda, ti metti a lavorare mentre lasci qualcosa sul fuoco nella cocina, prima che l’odore qualche minuto dopo ti faccia capire che sta bruciando. Gonfiato dalla cena in solitudine, torni ai tuoi affari in disordine, cioè che ti chiamano per lavorare sui corsi di scienze sociali, e l’epistemologia ti dà ancora qualche segno da riflettere, con la tua camicia non tanto innocente con i suoi colori. Infine, decidi alle tredici e mezzo di dormire, e ti abbandoni tutto nelle braccia di Morfeo, ai sogni che invadono il tuo cerebro con altri segni, come se non ce ne fossero stati abbastanza durante questa giornata anonima.

Guillaume Silhol

venerdì 23 ottobre 2009

Frontiere fisiche e virtuali

Il bello delle storie di frontiera è che svelano l'esistenza nascosta di una moltitudine di contrasti ai quali spesso non pensiamo e dei quali non ci rendiamo conto. La vita è un continuo confronto con le proprie frontiere. Benché il discorso possa sembrare generale e astratto, mi sono ispirato a delle mie esperienze personali e concrete. Una volta essendomi recato in Svizzera con la mia fidanzata per visitare il lago di Lugano, mi accingevo a oltrepassare la frontiera Svizzera ormai apparentemente una formalità dopo l'entrata in vigore dell'accordo di Schengen. Mentre eravamo in coda, aspettando il nostro turno, mi prese subito una certa apprensione nell'osservare la guardia che controllava ogni vettura con molta attenzione prima di acconsentire al suo transito in territorio svizzero. Ma perché preoccuparmi, se non avevo niente da nascondere? Analizzando meglio la mia apprensione, ho capito che l'ansia era dovuta alla situazione nella quale mi trovavo: il potere della guardia di frontiera sui poveri turisti, pendolari, persone comuni. Nella mente della guardia vi è una frontiera: tra la percezione della realtà e la realtà stessa. Ed io dal canto mio stavo per sperimentare questa frontiera, poco virtuale. Infatti al momento del mio turno, non so per quale ragione: forse la vettura, il mio aspetto o chissà cos'altro, ha fatto sì che la guardia decidesse di fermarmi per un accurato controllo doganale. Ero molto tranquillo poiché sapevo di essere in regola, al contrario invece il poliziotto era teso e mi guardava con sospetto. Il limite tra ciò che era considerato normale e non pericoloso fu presto superato da una sospettosa patente monegasca,e un ancor più pericoloso residente monegasco e una terribile macchina italiana con a bordo addirittura un passeggero francese. Ecco la frontiera della normalità nella mente del poliziotto era stata infranta: nasceva il sospetto, vi potevano essere le prove. La guardia ci lasciò in attesa per alcuni controlli di routine. In quel momento io mi rilassai finalmente poiché sapevo che l'accertamento avrebbe infranto la frontiera nella mente del poliziotto tra immaginazione e realtà: sarei risultato assolutamente in regola. Questa certezza mi permetteva di non subire la classica apprensione che si prova durante i controlli doganali. Poco dopo infatti col sorriso sulle labbra ho recuperato i miei documenti e ho ripreso la mia strada. Infatti se non si infrange la frontiera della legge, nessuna frontiera può dare noia.

Paolo Rotelli

giovedì 22 ottobre 2009

Ogni regione del mondo possede una cultura diversa, composta di costumi, di riti, di credenze che influisce sulla percezione di ciò che ci circonda. Di fronte ai posti contemporanei, la questione dell'evoluzione delle costumi si pone. Il legame tra costumi e rispetto dei diritti dell'uomo è sempre più soggetto a polemica, cosa che dà luogo al confronto di due visioni del mondo. Le civilizzazioni occidentali e orientali appaiono in opposizione.

Fawzia Abdallah Youssef aveva 12 anni, aveva poiché questa ragazza è morta di un'emorragia mentre parturiva. Questa ragazza sposata di forza dalla sua famiglia aveva lasciato la scuola ad 11 anni. « Il caso di Fawzia illustra il dramma di quelle che chiamiamo ‘ le fidanzate della morte ‘, delle ragazze di meno di 15 anni che si sposano generalmente per ragioni economiche » ha dichiarato il direttore dell'organizzazione yemenita per la protezione dell'infanzia, Ahmad al-Qourashi.
In Yemen, questa pratica ancestrale dei matrimoni forzati è in uso; si ritiene che più della metà delle ragazze di meno di 15 anni ci sarebbero costrette.
Da un punto di vista religioso, il Corano non stabilendo una età minima per il matrimonio, il contratto di matrimonio può essere firmato fin dalla nascita del bambino. Il consumo del matrimonio è fissato all'età di 8 anni e 9 mesi, considerata come l'età della pubertà nella ragazza.

Queste costumi in gran parte diffusa in alcuni paesi costituisce l'accettazione, pura e semplice, della pedofilia, dissimulata dietro lo schermo di un matrimonio che si dice approvato dal Corano. Le famiglie affermano seguire i precetti del Corano per giustificare questi matrimoni.

Alcuni mesi fa, è l'affare della piccola Nojoud, 9 anni, che chiedeva il divorzio e presentava denuncia contro suo padre che l’ha forzata a sposarsi ad un uomo piu anziano di 20 anni che denunciava questa pratica, percepita come una semplice eredità culturale dai suoi partigiani ma che appare come un crimine agli occhi dei suoi detrattori.

È la frontiera tra pratica culturale, etica e rispetto dei diritti dell'uomo che sembra, qui,approfondirsi. Infatti, l'articolo 34 della convenzione internazionale dei diritti del bambino del 1989, ratificato da 192 paesi, dispone che: “gli stati partite si impegnano a proteggere il bambino contro tutte le forme di sfruttamento sessuale e di violenza sessuale. A tale scopo, gli stati adottano in particolare tutte le misure idonee sui piani nazionali, bilaterali e multilaterali per impedire che bambini siano incitati o costretti a dedicarsi ad un'attività sessuale„.
La maggior parte dei paesi colpiti da questa peste tenta di trovare soluzioni per arginarla e, a termine, farlo scomparire. A tale scopo, il Parlamento yemenita ha adottato una legge che fissa l'età legale del matrimonio a 17 anni ed impone delle multe ai padri di famiglie che la trasgrediscono. Tuttavia, il presidente Ali Abdallah Saleh non l’ha ancora promulgata.

I paesi occidentali, in cooperazione con l'UNICEF e le ONG sul posto, devono sentirsi riguardati dalla sofferenza di queste ragazze il rischio di essere tacciati d'ingerenza e d'etnocentrismo?

J.L

Una frontiera mobile

Questa concezione è venuta a me quindici mesi fa, all’occasione di un viaggio con degli amici in Australia (infatti, era un peleginaggio, ma questo potrebbe essere successo in qualunque viaggio). È apparita più soggetiva e anche meno immobile, costante, dell’idea convenzionale del bordo delle amministrazioni.

Avevo già fatto da Parigi una tappa nell’aeroporto di Hong Kong, e non avevo visto altra frontiera che quella dei controlli e di tante cose amministrativi come in tutti i paesi liberi. Una frontiera diversa è venuta verso me in aereo con la scheda signalettica che occoreva riempire, e delle domande sulle mie convizioni criminali o sui miei ipotetici viaggi nel Medio Oriente. Questa concezione di frontiera mobile e di precauzione era anche nell’aeroporto di Sydney, ovviamente, all’occasione dei controlli detti “identici” per tutti i viaggiatori. Mentre eravamo trenta pellegrini, con i nostri affari distintivi e parlando per alcuni un Inglese degno di Yasser Arafat, l’unico controllo fatto dagli impiegati dell’aeroporto era riservato a una famiglia di musulmani, persone e bagagli, un uomo con una barba di tre giorni e una donna con un velo leggero che parlavano un Inglese “all right”.

La nuova frontiera mi sembrava reattiva, convenzionale non come mezzo di negoziati ma come il modello, in communità, di protezione più usato frente all’altro, per vederlo prima che venga a se e verificare le proprie pretese sul suo aspetto.

Poi, questa concezione era più o meno dimenticata con le famiglie di Australiani che ci accoglievano vicino a Melbourne, forse perché venivano anche loro in maggior parte da India, da Corea o da Madagascar, come negli incontri tra pellegrini così perduti come noi. Ma il confine è rivenuto senza farsi sentire a Sydney, la città tentacolare e in disordine.
Mentre passeggiavo con tre amici nelle strade del centro della città, intorno all’Opera House, io avevo riconosciuto un gruppo di Cambodgiani che dormivano nella stessa scuola di noi. Pur discutendo con un uomo che parlava Inglese tra loro, la frontiera mobile di reazione è venuta con la giustificazione alla seconda volta che mi domandava la mia origine : “Perché voi, gli Europei, vi somigliate tutti.” Questo confine culturale, stupendo di spontaneità dopo secoli di contatti squilibrati e sulla forma dell’etnocentrismo più innocente, era rivoltante per qualunque benpensatore ma ovvio : era l’immagine, con interpretazioni interiorizzate, che gli davo come se io venissi sul suo territorio, mentale piuttosto che fisico in questa conversazione lontano dai nostri paesi rispettivi. Lui reaggiva come qualunque guardia che avrebbe precisato chi è lo straniero e chi è degno dei diritti civili su questo territorio.

Altre frontiere erano venute ai miei amici e a noi, essendo interpellati da stranieri o persone che non sopportavano di vederci per migliaia e migliaia con lo stesso zaino rosso e giallo, con più o meno rispetto nei termi. Tuttavia un amico mi ha mostrato, e gli do tutta la mia fiducia, che è possibile incontrare tante frontiere e passare il suo cammino come se non esistessero. Mentre lui non poteva fare due frasi coerenti in Inglese, ci aveva perduti di vista per qualche seconda, e si era ritrovato solo alle dieci e mezzo della sera con un millone di pellegrini e passanti. Eppure, ha trovato il suo cammino senza essere interrogato come sospetto, prendendo l’ultimo metrò e tornando alla scuola prima di noi. Infatti, mi ha mostrato che è ancora possibile, quando nessun guardia di domanda i tuoi documenti prima di sparare su te, oltrepassare le frontiere quasi senza accorgersene.

Guillaume Silhol
Il problema del confine tra il reale e il virtuale esiste da molti anni fa. Primo con l'apparizione del cinema, della tivu, poi sempre di piu con il computer. Gli esmpi di giovani che diventano violenti a causa dei video games sono numerosi questi anni scorsi; spendono tante ore sul computer che finiscono pazzi: il mondo virtuale divente la loro vita reale poiche la vita reale si fa tutta la giornata davanti al computer. Certi giovani, in particolare japonesi dimenticano di nutrirsi, questo sembra a loro inutile poiche il loro personnaggio va bene senza mangiare e che si prendono per lui. ho un amico che era al liceo con me e che non veniva spesso a scuola perche era stancato a causa dei giocchi e quando i suoi genitori non erano a casa non si faceva a mangiare, era la sorellina di dieci anni che lo faceva!
ma oggi quello che mi ha fatto pensare a questo tema è facebook; praticamente tutti i giovani hanno il loro facebook e ci sono tante applicazioni che possiamo fare tutte le cose reali della vita ma in un modo virtuale su facebook. Per esempio, si puo mandare un presento ad un amico o mandarlui una bibita durante una discuzione etc... Si puo fare o almeno fare finta di fare tutte le attività della vita.
un altra cose che mi sembra preoccupante è la questione delle imagine, video... la gente pubblica degli articoli su facebook che possono essere truccati e che sono a disposizione di tutti.
Infine, la questione dell'amicità non conosce piu di confini tra il reale e il virtuale: la gente crede che ha numerosi amici allora che non ne conosce la meta. Per me è un istrumente di popolarità che da una falce imagine dei suoi utilizzatori.

domenica 18 ottobre 2009

Un solco da penne nel mare

Vérité en deçà des Pyrénées, mensonges au delà diceva il filosofo transalpino Pascal. Forse perchè la frontiera è sempre stata l’elemento culturale fondamentale su cui vengono edificate le società umane da secoli, ma questa frontiera non è soltanto fisica oppure geografica, la frontiera è un elemento proprio mentale che struttura inevitabilmente l’intelligibilità del mondo reale per l’anima dell’uomo. Si consideri l’eroe di Buzzati in attesa di gloria nel deserto dei Tartari, la cui sperenza è annientata dall’attesa di un pericolo che non viene, ma sopratutto della dissoluzione del mondo esterno in questa immensità senza confini ove la realtà si svanisce poco a poco al punto che il dubbio sull’arrivo dei barbari si trasforma in un dubbio sul mondo abandonato dagli uomini e dalla cultura intorno, proprio quello che viene chiamato un deserto. Il concetto di frontiera era fondamentale per gli antichi che individuavano la città politica in quanto territorio sacralizzato, purgato dalla macchia innominabile della morte, la frontiera della città non è soltanto il limite politico, veniva considerato dagli antichi anche come frontiera trà i vivi e i morti. Infatti non si poteva assaltare il tracciato dell’aratro senza commettere una colpa che andava per forza punita di morte, esclusione del mondo dei vivi, caduta nell’Averno, assaltando un’altra frontiera, quella dello Stige.

Quando si vive su un'isola il problema posto dalla frontiera non esiste, perchè la domanda di definizione della frontiera fisica è risolta dalla natura tramite l’elemento marino. Il regno di Nettuno rinchiude il territorio dei mortali. Però sarebbe sbagliato pensare che la frontiera naturale confermi la frontiera mentale. Il fatto «isolano» può anche aggravare questo problema dell’auto situazione nel mondo concepito in quanto rappresentazione spirituale e non come realtà sensitiva.

Cresciuto in Corsica, avevo integrato la classe preparatoria a Bastia ove sono rimasto per due anni. Abitavo nell’antica cittadella genovesa ove affiancata al vecchio palazzo deserto dei governatori della Serenissima si ergeva la secolare bastiglia del governatore Leonello Lomellini che ha dato il suo nome alla città. Dal promontorio della cittadella, la mattina, mentre attraversavo la piazza del torrione, potevo vedere affacciarsi l’Elba, Monte Cristo, Capraja e pure la costa toscana di Populonia. Dal mio paese del Sud della Corsica, insediato sui i fianchi dei monti di Cagna, potevo guardare la Gallura sarda ogni mattina prima di scendere al liceo. Certi giorni si vedevano anche le macchine costeggiare l’orlo dell’isola vicina. Cosi, ogni mattina, sia a Bastia che da me, stavo sempre in piedi qualche minuto, quaderni in mano, con quest’idea che mi turbava. Quest’idea secondo cui mi affacciavo a una frontiera che non era fatta soltanto d’acqua marina, ma anche di versi, e di prosa. Dalla mia parte si andava al liceo a studiare a Hugo o Baudelaire, si studiava la vittoria di Bouvines oppure la presa della Bastiglia (un’altra di più) sapendo che Bouvines, Azincourt o Rocroi erano luoghi a centinaie di chilometri dal mio posto mentre non si sentiva parlare in classe della Meloria, di Montaperti o di San Romano, posti più vicini di me di Nizza stessa, a cui avevano per forza partecipato mercenari corsi, noti in Terraferma per il valore marziale (le guardie del Papa erano corse), si ricordi la famosa amicizia trà il condottiere isolano Sampiero Corso e il Mediceo Giovanni delle bande nere. Poi indovinavo da lontano quegli autobus seguendo la costa di Santa Teresa di Gallura, colle stesse roccie, la stessa macchia, gli stessi colori, lo stesso mare. E in questo autobus ragazzi della stessa età, ma con nelle loro cartelle esemplari della Divina commedia, dell’Orlando forioso, dei Quaderni di Serafino Gubbio, operatore, mentre io tenevo sotto i miei occhi Les Misérables oppure les Fleurs du mal. A venti chilometri dal luogo in cui mi turbavo in modo mattunino la mente, potevo quasi sentire sussurrare un miserere di me gridato di fronte a un Virgilio fioco mentre approntavo la mia bocca a proferare uno spleen andando in visibilio davanti a questa chevelure moutonnant jusqu’à l’encolure. A Bastia, posto sulle mura a stapiombo sul mare, guardavo a Capraja che sembrava ancora pronta di comune accordo colla Gorgona a chiudere la foce dell’Arno per annegare i cittadini di Pisa da dove sembravano sempre arrivare i sospiri scappati dalla torre della Mangia. Stavo a guardare questa costa toscana calpestata da Dante, da Boccaccio, da Petrarca, da Latini, da Machiavelli mentre intorno a me non vedevo i vecchi fantasmi di Ronsard, di Beaumarchais oppure di Lautréamont. Nelle mura del palazzo Carovana declamavano gli allievi della Normale in lingua greca o in latino a una distanza che non superava quella che ci separa di Nizza, la città più vicina del continente. Nel mio liceo si studiava anche greco e latino, ma per dare il concorso della Normale di Parigi, a centinaie di chilometri, mentre si studiavano autori di cui le penne avevano scritto in luogo dieci volte più lontani e diversi di quelli vicini in cui scrivevano le tre corone. I testi che noi studiavamo a Bastia erano imparati a memoria dagli eccelenti studenti dei più prestigiosi licei parigini mentre là in Corsica io, lontano dalla foschia parigina, guardavo nello stupore del crepusculo svanire la costa toscana e ascoltavo morire le voci lusinghiere degli allievi dall’altro lato di un mare tirrenio che rimaneva per mè la frontiera più strana che avevo mai visto.


JEAN DOMINIQUE LUCCHINI


giovedì 15 ottobre 2009

Oltrepassare la frontiera culturale : Siria-Francia

Questi studenti hanno superato la frontiera francese con un permesso di soggiorno di uno, due o piu anni. Sono Americani, Tedeschi, Algerini... Ramia, lei, è Siriana, e dall'inizio dell'anno scolastico, è la mia coinquilina. E` arrivata in Francia due anni fa per studiare la psicologia. E poco a poco, scopriamo una vera frontiera culturale fra noi.
Pranza alle quattro con delle cose strane ! Ma non è la frontiera la più significativa. Secondo me, la differenza fondamentale è la relazione tra uomini e donne. Ramia non è una musulmana fondamentalista, non porta il velo, mangia durante il ramadan per potere studiare normalmente ma...Non puo dare un bacio agli uomini : quale imbarazzo (e delusione) per i miei amici di vedersi rifiutare il bacio ! Non puo stare da sola con un uomo (questi mostri !). Non ha mai avuto un ragazzo, e il primo, obbligatoriamente un siriano della stessa confessione da lei, sara l'unico della sua vita. Al contrario, la mia altra coinquilina è in coppia da parecchi anni. Quando la questione della presenza del suo ragazzo a casa si è posta, abbiamo scoperto l'ampiezza della frontiera. Ramia si piega alle tradizioni del suo paese senza rimetterle in causa sebbene veda la situazione in Francia. Ma soprattutto, le questioni dell'amore, dei sentimenti e dei rapporti sessuali sono per questa donna di quasi trent'anni dei veri tabù ! Confusa, non riesce a parlarcene. Il matrimonio non è un affare di sentimenti, non che Ramia non abbia dei sentimenti , ma il matrimonio si basa su delle riflessioni molto concrete legate in parte alla religione. Questo sembra sorprendentissimo per la nostra società che mostra sesso e effusione di sentimenti dappertutto (salvo, forse, i matrimoni dedicati a ridurre le imposte...).
Per concludere, vi rassicuro, Ramia è una ragazza molto aperta e rispettosa dunque la nostra coaffittanza è ricchissima di soprese !
Rispondo alle domande dei curiosi...

Carole Becquet

martedì 13 ottobre 2009

Il colore di pelle, una frontiera tra gli uomini?



Quando qualcuno evoca la parola “frontiera”, non penso all’aspetto materiale, ma mi viene in mente piuttosto l’idea di frontiera tra le persone. E allora, rifletto al fatto strano che una persona possa essere prossima a te, a volta è come se tu non la vedi o come se non vuoi vederla. E un fenomeno molto difficile da spiegare. Ci sono molti esempi per illustrare quello che dico.

Adesso, voglio evocare la frontiera della cultura, o più precisamente di colore di pelle. Un’amica mia, Julie, era molto prossima a suo padre. In realtà, formavano il duetto padre/figlia piu fusionale che avevo mai visto. Dalla sua infanzia, lei gli raccontava tutta la sua vità e lui gli daveva tutto il suo amore e la sua affezione. Ma due anni fa, le cose sono cambiate. Julie era una signorina, lei incontrava un ragazzo e si innamorava di lui . Loro due erano felici come mai. Ma il padre non l’acceptava. Non –solamente- perchè era troppo difficile per lui vedere la sua piccolina con un altr’uomo, no, la sua reazione fu violenta perchè il ragazzo era nero. E ancor' oggi, lui si rifiuta d’incontrare il ragazzo di sua figlia. Lui è testardo e preferisce perdere la persona più importante per lui solamente per una questione di colore di pelle. Perchè certo, Julie si è allontanata di suo padre e non gli parla quasi più. E qualchecosa d’impensabile! Ma la cosa più orribile è che il fratello maggiore di Julie pensa esattamente come il padre. Mi domando come qualcuno possa ancore pensare cosi oggi.

In realta è quest’odio e questo racismo dentro il padre che hanno edificato le frontiere: quella tra il ragazzo e il padre ma anche tra il padre e sua figlia. Dunque certe volte, le frontiere non sono reali, sono guisto delle finzione dritto uscite da nostri menti. E allora, solamente noi stessi possiamo abbatterle.

lunedì 12 ottobre 2009

I confini sociali

- I confini sociali sono molto importanti negli Stati Uniti, dove il leggendenrio "melting pot" in realtà non esiste.
In generale negli Stati Uniti i neri vivono insieme, e c'é veramente pocce di matrimoniale tra i bianchi e i neri. E é la stessa cosa per i poveri che abitano tutti in taluni quartieri mentre i ricchi vivono altrove.
E' veramente percepttibile a New York City dove ci sono dei quartieri poveri come il Bronx, Brooklyn, Harlem, e il Queens , é in questi quartieri che si ritrovano tutti gli immigrati o tutte le minoranze etniche. Al contrario ci sono dei quartieri per i ricchi e il più famoso é il quartiere di Manhattan.

- Sono andata a New York l'anno scorso e ero alloggiata in una famiglia di neri che vive in una piccola casa di "Long Island". Ero molto sorpresa perché ho veduto che tutti gli amici della mia famiglia erano anchi dei neri. E quando sono andata con la famiglia all' ufficio, era in una chiesa nel Queens (dove la madre ha passato tutta la sua infanzia), c'erano solo dei neri in questa chiesa, ero la sola persona bianca. Era comme se la chiesa fosse riservata per i neri, mentre nel quartiere non ci sono solo dei neri!
In più avevo degli amici bianchi a NYC ma erano sorpresi quando ho detto che avevo degli amici neri in Francia e anche che avevo avuto un ragazzo nero.

- Questi confini sono radicati nello spirito della gente é veramente visibile negli Stati Uniti. Ma possiamo sperare in uno scambio con il nuovo presidente...
Pauline Guibbaud.

sabato 10 ottobre 2009

Une citta di confini


Al Nord gli Alpi, Al Sud il mediterraneo, Al Oriente l’Italia, Al Occidente Monaco : la citta du Mentone e veramente assediato a opera del concetto di frontiera .
Come questa piccola citta ha fatto per vincere il sua chiudere ?


Per domare la montagna (la frontiera del Nord) l’uomo ha utilisato la forza della scienza : Ingegnere
e fisico hanno pensato molto per creare delle dige per i fiumi, e delle gallerie per la ferovia e l'autostrada.
Oggigiorno gli Alpi non sono piu una frontiera ma un spazio dedicato al divertimento : Gita, Ski, Canyoning, etc...


Al Sud il mare mediterraneo non e piu una frontiera, ma una formidabile autostrada per la nave in proveniente di tutto il mondo.
La pesca anche permette di cibbare la citta.
Ma il piu importante e l'attivita che si fa sulla costa : la spiaggia, prima 'no man's land' minati tra il mare e la terra, é diventata un luogo intermediario che il bagnante simbolizzo bene.


Se Mentone ha addomesticato le sue due frontiere naturale, come é gestito le due frontiere politica ?


Con Monaco si e creato un legame di lavoro : Mentone fornisce la manodopera e Monaco gli impiegi.
La frontiera con l'Italia fu una frontiera militare : si vede ancora i forti della 'ligne Maginot' costruito contro la volonta di annessione di Mussolini.
Ma oggigiorno con l'Unione Europeo e lo spazio Schengen la frontiera ha sparito, Mentone e Vintimiglia-Latte formano una solo citta.


L'Esempio di Mentone e illustrativo della capacita del uomo del novecento ha vincere tutte le frontiere : frontiere naturale, frontiere politica, frontiere humana...
Ma soprattuto mostra le frontiere ha vincere da domani : la dominazione della natura ha creato l'inquinamento della terra, lo spazio Schengen la concorrenza di negozii Italiani meno caro...
Dobbiamo risuscitare le frontiere ?
Forze no! perche l'ultima frontiera e di riuscire a vivere senza frontiera.

venerdì 2 ottobre 2009

Riassunto del dibattito del 24 Settembre 2009 sul tema delle frontiere sociali

Si può parlare ancora di frontiera sociale nel nostro Occidente individualista attuale, si può pensare che gli individui obbediscano sempre a criteri di distinzione sociale, d’identificazione a un gruppo, anzi a una classe ? La parola è scaturita, Distinzione. Si ricordi la famosa opera del sociologo francese Bourdieu scritta nel 1979, La Distinction, critique sociale du Jugement, che introdusse nel ragionamento sociologico dell’epoca i concetti di capitale culturale e di capitale economico con il fenomeno di radicalizzazione e di gerarchizzazione delle differenze, da opporre a l’individualismo metodologico dell’avversario Boudon.

Si scatena poi un dibattito in seguito alla testimonianza di una ragazza che ha subito la realtà, la distanza posta dalla frontiera sociale durante le selettive classi preparatorie della repubblica che raccolgono tutta la borghesia francese. Diverse opinioni sono venute fuori da tante chiacchiere, ognuno a proporre la sua percezione oppure la propria esperienza di vita. Il tema centrale di questo dibattito riguardava il valore attuale del concetto di distinzione. Ci sono ancora elementi di distinzione che pongono frontiere sociali insormontabili ? Positivamente, quali sarebbero questi elementi di distinzione e quale applicazioni gli potremmo dare concretamente ? E anche se vanno definiti, funzionano davvero per qualsiasi caso ? C’è chi non può credere a un metodo di classificazione sociale oggi ( che pero è già esistito ) e può avvalersi del fatto che i codici si intrecciano per sfociare in un semplice fenomeno di moda accentuato sempre di più dal processo di individualizzazione delle nostre società consumistiche.


La ragazza dava l’esempio del flauto prevalendosi dell’alta percentuale di musicisti nelle classi alte. Infatti si vedono poco figli di operai suonareil  pianoforte oppure il violoncello soltanto nel tempo libero, fuori da ogni progetto di carriera, tramite il conservatorio per esempio. D’altronde si sa che l’investimento del tempo libero dei minorenni è subordinato al reddito dei genitori. Tutti i giovani hanno tempo libero, ma lo occupano in modo diverso secondo l’educazione familiare. C’è chi ha come passatempo la lezione di pianoforte a pagamento, poi c’è chi guarda la TV. Pero questo argomento è stato contraddetto dal fatto che si suonano strumenti in tutti gli strati sociali; si è dato l’esempio della chitarra, adottata da tanti giovani di provenienze diverse. A questo punto è stata introdotta una differenza trà gli strumenti «classici» per non dire nobili, e gli altri. Si può pensare che anche se diffusi in modo generale, spesso si vedono gli stessi strumenti nelle stesse mani. Certo che la musica piace a tutti, che tutti si godono la pratica musicale, ma si deve intendere il tipo di musica alla quale un Tizio, un Caio oppure un Sempronio aderirebbero. Di solito, non si aprezza il rap nelle famiglie agiate o l’opera nelle famiglie operaie. Alla fine si suona lo strumento che produce la musica che la propria classe acconsente. A questo punto si arriva a una distinzione tradizionale posta tra la cultura «alta» e la cultura «bassa». Alcuni hanno criticato la pertinenza di questa classificazione e la sua relatività culturale e geografica. Noi Transalpini consideriamo il calcio un elemento di cultura bassa, popolare per non dire volgare, il tifoso essendo assimilato quasi all’immagine della barbaria o della brutalità plebea. L’aristocrazia repubblicana francese non va al circo, neppure l’intellettuale francese e al di fuori di Camus, le penne francesi non mettono i piedi sull’erba. Al contrario di quest’esempio c’è l’illustrazione cisalpina, con un paese in cui tutti gli strati della società confluiscono allo stadio oppure seguono le partite alla TV, mentre in Francia guardare la TV continuamente è sinonimo di miserabilismo e di immobilismo sociale. In Italia, anche i più grandi statisti o i più famosi intellettuali impazziscono per il calcio. Basti ricordare la venuta a Aix-en-Provence di Umberto Ecco, uomo di vasta cultura che aveva sconvolto l’uditorio dei docenti francesi, interrompendo la sua conferenza per assistere a una partita di calcio della sua squadra preferita. Cosa inaccettabile nella patria di Baudelaire ove non si vedrebbe mai un Paul Veyne o una Jacqueline de Romilly parlare di calcio. Dato che si tratta di sport, si deve menzionare anche un ulteriore riflessione sullo sport come elemento di distinzione sociale. Tra sport elitario e sport popolare, appare un possibile elemento di classificazione. C’è chi dice che il tennis, il polo e il golf sono sport da ricchi mentre il calcio o il basket sono più popolari e meno apprezzati dall’élite. Questo è verificabile, a prescindere del fatto che l’accesso ai complessi sportivi è stato molto democratizzato negli ultimi 30 anni, permettendo a persone di reddito modesto di praticare sport che però sono rimasti molto connotati. Pure su questo soggetto, si torna a un relativismo geografico. Mentre in Italia i palestrati sono abbastanza apprezzati, il bodybuilder viene considerato in Francia uno strampalato, un essere vano e privo di capacità riflessiva. Forse non c’erano abbastanza statue greche in Gallia per scongiurare la repulsione francese del culturismo, che non s’identifica mica colle pratiche degli ambienti che dispongono dei redditi più consistenti.

Alla fine con questa tematica dell’apparenza, si arriva naturalmente all’elemento vestimentario, infatti il più visibile, il più diretto, ma anche il più controverso. Si puo distinguere la gente a seconda del vestito ? Cosa ci insegnano i codici vestimentari oggi, sopratutto trà giovani ? Si consideri che nelle culture tradizionali, il codice vestimentario è un elemento strutturale centrale della cultura che conferiva alla società tutta la sua consistenza. Occoreva una guerra civile gravissima per vedere la gente farsi beffe dei codici vestimentari tradizionali. Nella Cina antica, chi sfoggiava il giallo dell’imperatore andava subito giustiziato. Si pensi che in Giappone lo statuto sociale e familiare è notificato dal modo in cui sono intrecciati i nodi delle cinture nel vestito tradizionale. In India gli Intoccabili non si possono vestire come le altre caste e erano previste sanzioni per i trasgressori. Nelle nostre società moderne, che sono società di consumo, tutto si può comprare, si può accedere a tutto col denaro in quanto unica condizione mentre in certe società tradizionali i vestiti si comprano a seconda della provenienza sociale o etnica, il prezzo non c’entra. Percio è difficile definire generalità sul modo di vestirsi dei diversi gruppi sociali, ognuno provando ad indurre l’altro in errore per valorizzare o nascondere la sua provenienza sociale e facilitare la sua integrazione individuale. E infatti la dinamica individualistica delle nostre società che spiega che i giovani siano vestiti sempre di più a seconda delle preferenze soggettive e non più dei criteri oggettivi, a prescindere della condizione familiare o professionale. Certo sono rimaste tendenze come l’ostentazione delle marche negli ambienti urbani difficili come Marsiglia ove si distinguono le ragazze arcitruccate e di parlato volgare chiamate «cagoles» (un parallelo è stato fatto colle ragazze napolitane). Ma si è parlato anche del debole dei ragazzi provenienti da ambienti borghesi per la trascuratezza del vestito. La tendenza di questi ragazzi che vengono chiamati radical-chic (l’equivalente francese sarebbe gauche-caviar) mira a fingere un appartenenza sociale modesta o una simpatia per le persone più modeste in modo di giustificare posizioni politiche che contrastano coll’ambiente familiare o i propri interessi, ma anche per legittimare le propri posizioni rispetto alla maggioranza popolare, spesso con fini demagogici (come il patrizio Claudius che cambia il suo nome in Clodius per farsi eleggere tribuno della pleba). Questo fenomeno che consiste nell' ostentare un modo vestimentario, un modo di consumo, che contrasta colla posizione sociale e il patrimonio reali si chiama metaconsumo, oppure distinzione di distinzione. Per Baudrillard questa tendenza al metaconsumo traduce un superamento dell’arrivismo di certi nuovi ricchi che hanno i soldi per comprarsi i vestiti di lusso ma che non hanno i codici sociali della borghesia tradizionale che esclude loro in questo modo. Si puo anche concludere che il salariato e la società di consumo ha suscitato l'abbandono del vestito come codice di distinzione dei ricchi che ricorrono adesso a mezzi più astratti come l’educazione, la cultura personale, quello che l’antropologa Mary Douglas chiama «la conscenza dei nomi» oppure «i servizi di marchiaggio» che induce un importante investimento nell'ambito dell’informazione o della perizia-consiglio. Essere un privilegiato oggi non presuppone distinguersi con elementi materiali anche se carichi di significazione, ma disporre di reti e dell’afflusso di informazioni in un contesto mondiale globalizzato sempre più impreciso ove i poveri sono esclusi e marginalizzati non per penuria di materiale distintivo, ma per penuria d’informazione. I poveri nelle nostre società opulente sono quelli che non sono stati informati del luogo e della data del festino, semplicemente.

Per concludere si può considerare che oggi i mezzi materiali e tradizionali di distinzione non permettono più di illustrare l’eterogeneità sociale. I principali mezzi di distinzione si distribuiscono a seconda della preferenza individuale, il che rende le disparità sociali meno visibili se i poveri si comportano e si vestono come ricchi, e se i ricchi adottano una visibilità sociale di poveri. La conseguenza sarebbe una riduzione dei conflitti sociali o delle frustrazioni. Ma infatti si vede che le cose non sono tanto cambiate perchè alla fine del dibattito che conclude alla caducità dei mezzi di distinzione, ci si sveglia sempre in un mondo fatto di ricchi e di poveri, che se non più ordinato in «classi» formali, vede sempre i ricchi raggrupparsi, trincerandosi sempre di più in quartieri sicuri invisibili. I ricchi sono certo meno visibili, forse se la tirano meno, forse i poveri se la tirano troppo. Dietro quest’illusione di condivisione dei mezzi tradizionali di distinzione, c’è la persistenza del problema della povertà e della redistribuzione delle ricchezze. Forse oggi gli operai suonano pianoforte o vanno a l’opera, pero non vivono affatto nel mondo «mentale» dei ricchi e i rapporti sociali trà ricchi e poveri sono quasi peggiori di quelli di 50 anni fa. La frattura sociale esiste ma non è visibile su una mappa, in una sala d’opera o un negozio di vestiti. Questa frontiera è diventata metafisica in un mondo in cui l’ostentazione, ieri privilegio dei ricchi, è diventata oggi lo sfogo dei poveri. Lo scandalo dell’inuguaglianza esiste sempre, ma è soltanto meno visibile in società ove l’élite ha abbadonato alla plebe l’esclusività dell’ostentazione, per disinnescare la violenza sociale . Come lo diceva Epicuro, per vivere felici, si vive nascosti.

domenica 27 settembre 2009

Una questione di codici

A volte, ci si può sentire come un stranieri nel proprio paese e tra persone della propria età. Quando sono entrata nella mia classe di preparazione al concorso, era la mia impressione. Sentivo la gente parlare, racontare la propria vita e pensavo davvero di essere in un altro mondo. Prima, erano tutti o quasi degli ottimi musicisti e alcuni addirittura alunni del conservatorio. Io, non sapevo nemmeno suonare il flauto.
Dopo, parlavano tutta la giornatà di libri che non conoscevo e che a loro sembravano familiari come fiabe per i bambini.
Anche loro non capivano il mio mondo. Abitavo lontano dal liceo e i tragitti in bus mi stancavano. Quando mi sono confidata a una professoressa mi ha giusto risposto : " Va bene, puoi riposarti nel bus e lavorare subito quando entri a casa tua." Lei non ha mai preso il bus se pensa che sia riposante, mi son detta.
Più tardi, grazie alla sociologia, ho capito. La frontiera che avevo passato entrando là era una frontiera sociale e culturale, quella tra cultura legittima e "cultura bassa" come dice P. Bourdieu e non potevo capirla all'inizio. È come la storia di quello che beve l'acqua per sciacquare i denti al ristorante: è tutta una questione di codici.

venerdì 25 settembre 2009

-La frontiera tra l'occidente e i musulmani francesi attraverso l'esempio del burqa

Oggi, in Francia, si sviluppa un'incomprensione tra diverse comunità e in particolare coi francesi musulmani. Attraverso il problema del burqa, la Repubblica della tolleranza non sembra capace di fare i conti con le diversità che la abitano. Questo dibattito di società svela l'attaccamento dell'opinione publica alla laicità ed ai diritti della donna.
Raya, una giovane mussulmana, ci tiene a rivendicare il suo libero arbitrio." Innanzitutto, precisa, è una mia propria decisione, non lo faccio per costrizione".
Poi, denuncia l'abitudine dei media di stigmatizzare sempre l'uso del burqa come una violenza interiorizzata, un'obbligazione che si fa accettare alle donne. Nel caso di Raya, portare il burqa testimonia della volontà di abitare la propria nuova identità e di vivere la propria nuova fede. Difatti, Raya si è convertita all'islam dopo avere sposato un mussulmano. Anche se non lo dichiara chiaramente, il suo argomento tradisce un rigetto del modo attuale di vita. Eppure questa tendenza si conferma in tutte le comunità, come spiega Raya che prende l'esempio dei giovani che si fanno tatuare per rivendicare l'appartenenza ad un'identità. 
Però non è tanto facile e molte sono le interrogazioni simili: come rispettare i principi laici senza fare discriminazioni religiose? Il burqa tradisce veramente un atto libero delle donne o rimane una volta di più un modo di sottomissione? Per me, il fatto di nascondersi dietro ad un velo è la negazione dell'identità.

giovedì 24 settembre 2009

Buon lavoro....

Grazie a Guillaume eccoci al blog che raccoglierà le vostre storie, i vostri lavori tematici, le vostre idee...
Il primo tema che intendo lanciare su questo blog riguarderà le "frontiere".
Frontiere come ostacoli, come confini, come barriere. Frontiere linguistiche e frontiere urbane.
Frontiere culturali e frontiere culinarie...
E terre di frontiera.
E uomini e donne di frontiera.
La vostra frontiera (nel senso di limite) è data dalla conoscenza imperfetta della lingua italiana.
Scrivere su questo blog, significherà, per voi, superare, in parte, una frontiera linguistica che non dovrà rivelarsi, a termine, una barriera.
BUON LAVORO!
Chiara